9# RE LEAR \ AgustIn Olavarría

 

A proposito di Agustín, Alessandro Mendini ha giustamente sottolineato come “il suo porto d’imbarco geografico e espressivo è nel Cile, mentre il suo approdo professionale ed artistico si è fatto europeo”: il surrealismo iberico che caratterizza buona parte della sua produzione creativa – una “diagonale picassiana” che aggancia scultura, illustrazione e bricolage – appare davvero connotata da echi profondamente mediterranei. Oltre a suggestioni cromatiche provenienti dal giovane Klee e altre, più articolate formalmente, da Joan Miró (senza dimenticare il viso dell’Antigrazioso di Carlo Carrà) nelle teste di alcuni suoi personaggi si ravvisano addirittura le forme degli antichi idoli cicladici, ai quali Agustín sostituisce l’immemore marmo pario con il legno e il metallo.

Olavarría racconta di avere scoperto Shakespeare durante la sua adolescenza cilena. L’innamoramento per il dramma Re Lear è istantaneo: la follia del potere, la perversione egotista, la violenza tribale; infine la cecità emotiva ed etica. Il mondo strutturato come un grande tavolo da gioco, una scacchiera dove vari potentati e comparse duellano senza sosta. Ragionando all’inverso, è risaputo come tutti i giochi siano in qualche misura surrogati della violenza e dei conflitti, e l’intuizione di Agustín di immaginare Lear e la sua corte come dei piccoli idoli-giocattolo (spesso dotati di ruote) riporta proprio ad una lettura tragicamente ludica del dramma del Bardo.

Anche la lievità dell’acquarello bene si inserisce nel contesto a-temporale del Re Lear, dove dalle nebbie di una vicenda antichissima prendono forma numerose scene che Agustín seleziona dall’intreccio, riportandole in pittura con l’aiuto della graffiante imprecisione degli inchiostri. Amato e temuto, come spesso accade da bambini col proprio pupazzo preferito, anche questo Lear è imprevedibile e inquietante come un pagliaccio a molla: Agustín infatti lo rappresenta spesso che fa capolino da una scatola.

La storia potrebbe essere raccontata così: il vecchio Re Lear, deciso ad abdicare e delegare il potere alle sue figlie e per esse ai loro mariti e dividere fra di esse il suo regno, decide la spartizione e la solenne cerimonia che sanzionerà l’avvenimento. A questo scopo viene usato il rituale del «love-test», pubblicamente. Le prime due rispondono come devono, con atto di sottomissione completa. La terza, Cordelia, si ribella alla «forma» rituale, che le appare vuota ed inutile. Il vecchio re, di fronte allo scandalo e al grave attentato alla sua regalità, ovvero al sistema stesso su cui poggia il suo potere e lo Stato, disereda la figlia e la dà in sposa al re di Francia che se la porta via. Il tema della perdita e dell’abbandono si delinea, tenue come un sogno sul far dell’alba, nell’orizzonte della memoria biografica di Agustín, che ai suoi personaggi infonde la malinconia e la pensosità curiosa di chi è randagio per il mondo e per se stesso.